Riflessioni

L’uomo sulla Luna e la moneta da 50 Lire

Tratto da Starthub Torino n° 16, maggio 2022

L’Italia, paese di manifattura e di export, è tra i primi 5 paesi OCSE nei processi di sostituzione del lavoro dell’uomo con la macchina. Sempre in Italia ci sono invece 1 milione di badanti e 500 mila addetti alla cura e all’assistenza nelle strutture residenziali, che coprono rispettivamente il 20% del bisogno di assistenza a casa, le badanti, e il 7% della cura necessaria ai non autosufficienti, i lavoratori delle RSSA.

Un esercito di persone che si occupano di cura ed assistenza di cui nessuno parla ma che rappresentano quasi il 10% dei lavoratori dipendenti in Italia, pubblico escluso.
Al milione di addetti nel settore del badantato, di cui la metà lavorano in nero (dati inps e istat) e nel mezzo milione di lavoratori del Long Term Care, ci sono poi in Italia più di 2 milioni di care giver famigliari, senza i quali il sistema collasserebbe.

Quelli come nati e cresciuti con la vecchia moneta Lira, ricorderanno sicuramente le monete da 50 Lire con sopra un signore nerboruto armato di martello e munito di incudine: una vera e propria icona ottocentesca ancora attuale fino ai tempi della manifattura Labour intensive, più o meno fino ai tempi della lira dalle nostre parti.
Oggi sostengono i teorici delle transizioni e dell’innovazione digitale, l’uomo delle 50 Lire non avrebbe più incudine né martello, ma uno smartphone con cui postare commenti e stati d’animo, geolocalizzare l’impossibile e fotografarsi con le pose più improbabili. In pratica il nostro eroe non produce più manufatti ma esprime bisogni, idee, punti di vista, contenuti che sono il nuovo “oro nero” nella nuova società 4.0. E che esattamente come il petrolio per essere venduti o consumati vanno estratti e raffinati, o trasformati in “altro”.

Se si parte da qui allora si capiscono forse meglio alcune delle dinamiche in cui siamo immersi nel quotidiano in cui viviamo. Il nuovo uomo alimenta il sistema economico dei dati semplicemente producendo bisogni e tracciandone le dinamiche con cui ne soddisfa una parte più o meno ampia. Vive nel paradosso che il suo lavoro esplicito, quello retribuito, vale meno di quello implicito, gratuito.
La società fatta da umani produttori di dati e di bisogni ridistribuisce sempre meno il valore aggiunto prodotto con il lavoro. Eppure, nonostante il salario abbia sempre meno potere di acquisto, la macchina non sostituirà l’uomo, perché senza i bisogni dell’uomo semplicemente la macchina non ha motivo di esistere. La macchina può togliere lavoro all’uomo, ma il robot non mangia, non riposa non si ammala, e piace proprio per questo, non va in ferie e non si stanca mai di lavorare. L’essere umano invece non solo si stanca, ma invecchia e si ammala.

Non stupisce che il tema del bisogno è e sarà centrale nelle nostre comunità. Oggi in Italia una persona su 4 ha più di 65 anni e la metà di queste ha una qualche forma di malattia o di malattia cronica. Non serve essere esperti di demografia per immaginare che la situazione da questo punto di vista purtroppo non può che peggiorare. 
Tornando all’uomo che invecchia e si ammala paradossalmente è proprio questa sua debolezza che lo rende insostituibile. Questo non vuol dire che la transizione del digitale non sarà pesante e faticosa, anzi. Come tutti i cambiamenti di struttura imporrà paradigmi e processi molto probabilmente differenti da quelli che conosciamo. Siamo però, noi umani, nelle condizioni di decidere che direzione imprimere al cambiamento, che non capita per caso, ma avviene perché lo decidiamo noi.
Già nel lontano 1995 Rifkin nel suo “La fine del lavoro” prospettava a fronte della perdita irrimediabile di posti di lavoro “tradizionali”  la rivalutazione del terzo settore, ovvero il no-profit applicato ai servizi di utilità sociale
Partire dal welfare, comprendendo tutta la cura, infanzia compresa, equivale a dare “valore” al “bisogno”, che è sempre più multidimensionale e personalizzato. Ed avrebbe molto senso in questa fase storica, perchè probabilmente è l’unico settore che genera lavoro, anche solo facendo emergere quello che c’è. Nel Welfare inoltre i processi di innovazione e digitalizzazione non sono ancora partiti, e prevedono per forza una cooperazione tra l’uomo e la macchina. Sarebbe anche un ottimo modo per superare lo stereotipo secondo il quale il lavoro di cura è gratis ed è femminile, meccanismo perverso che genera ulteriore invecchiamento della popolazione e denatalità.

Già nel 2014 l’economista Marianna Mazzucato, (“Lo stato innovatore”) sosteneva che il welfare è il nostro nuovo uomo sulla Luna. Il concetto viene ripreso ed esteso nel suo ultimo lavoro “Il valore di tutto” pubblicato per Laterza nel 2018.  “Siamo in una fase epocale proprio per l’urgenza di ripensare il  modo con cui attribuiamo valore alle cose. Esattamente come per la direzione ed il senso che vogliamo dare all’innovazione e al cambiamento: non c’è algoritmo che tenga, siamo noi che decidiamo se andare sulla luna o meno. “
Un monito importante per un momento storico probabilmente cruciale.

Diego Castagno